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SPONDILITE ANCHILOSANTE

VIDEO del Dr. Roberto Gorla

LA SPONDILITE ANCHILOSANTE

DR MATTEO FILIPPINI

La spondilite anchilosante è una malattia infiammatoria cronica che colpisce l’intera colonna vertebrale e, talvolta, anche le articolazioni periferiche (per esempio piedi, ginocchia, caviglie) ed i tendini. Più raro l’impegno extra-articolare (oculare, cutaneo, gastro-intestinale). Il termine attualmente utilizzato per definire questa malattia è quello di “spondiloartrite assiale” o di “spondiloartrite a prevalente interessamento assiale”.

L’infiammazione delle vertebre (“spondilite”), che costituiscono la colonna vertebrale, comporta dolore e limitazione funzionale, che tipicamente peggiora a riposo e migliora durante l’esercizio fisico (non è il classico mal di schiena!). In questa fase iniziale la radiografia della colonna vertebrale e del bacino non evidenzia alcuna anomalia; solo lo studio in risonanza magnetica consente di identificare la presenza di infiammazione articolare (spondiloartrite assiale non radiografica). Se la malattia non viene trattata adeguatamente, tendono a formarsi nel corso degli anni dei veri e propri ponti ossei che limitano irreversibilmente il movimento articolare (“anchilosante”). In questa fase le vertebre sono saldate l’una all’altra e la colonna vertebrale assume nella sua evoluzione finale la conformazione di una “canna di bamboo” (vedi figura 1). In questo caso si parla di spondiloartrite assiale radiografica, in quanto la patologia è chiaramente evidenziabile eseguendo una comune radiografia della colonna vertebrale.

Figura 1

spondilite

Nella Spondilite anchilosante si assiste ad una progressiva fusione dei corpi vertebrali.

La genetica

La spondilite anchilosante esordisce solitamente in giovane età (solitamente intorno ai 20-30 anni), colpisce soprattutto i soggetti di sesso maschile e tende ad avere una evoluzione molto lenta (sono necessari quasi 10 anni dall’esordio dei sintomi prima di osservare i primi e caratteristici ponti ossei tra le vertebre). Non è una patologia frequente ma nemmeno rara (ne è affetta circa lo 0,1% della popolazione). Come per tutte le patologie autoimmuni anche in questo caso si tratta di una malattia “multifattoriale”, ossia esordisce a causa di una combinazione di fattori genetici (HLA-B27 ed altri) ed ambientali (infezioni comuni, agenti inquinanti etc). Nonostante un soggetto con un parente affetto da spondilite anchilosante abbia una maggior probabilità di sviluppare la stessa malattia, il rischio rimane relativamente basso (non è una malattia ereditaria!).

Sintomatologia Articolare

Nella spondilite anchilosante, come sopra esposto, si assiste all’infiammazione delle vertebre, comportando una sintomatologia dolorosa invalidante, soprattutto a riposo. Nonostante il dolore avvertito all’ultima parte della schiena (= lombalgia) rappresenti un’esperienza assolutamente comune, la sintomatologia del paziente affetto da spondilite anchilosante è assolutamente peculiare.

Infatti tutti i pazienti affetti dalla patologia riferiscono un mal di schiena che è esordito prima dei 45 anni di età e che è presente quotidianamente da almeno 3 mesi, con decorso ingravescente e senza che vi sia una risoluzione spontanea del dolore (in assenza di terapia farmacologica il dolore è presente tutti i giorni).

Inoltre la maggior parte dei pazienti con spondilite anchilosante manifesta sintomi infiammatori (vedi tabella 1).

Tabella 1
Caratteristiche cliniche della lombalgia nella Spondilite Anchilosante.
Mal di schiena nella spondilite (infiammatorio) Mal di schiena comune (meccanico)
La lombalgia ha un esordio insidioso (non si ricorda il giorno esatto di esordio dei sintomi) Spesso esordisce acutamente (si ricorda il giorno esatto)
Il dolore lombare tende ad accentuarsi a riposo e durante la notte (il mal di schiena costringe al risveglio durante la II metà della notte) migliora con il riposo
La lombalgia migliora con il movimento e con l’attività fisica peggiora con lo sforzo fisico
Al risveglio ci si sente rigidi ed impacciati; dopo almeno 1/2 ora la sintomatologia tende a migliorare La rigidità mattutina non è significativa
L’utilizzo degli anti-infiammatori (FANS) comporta il marcato miglioramento del dolore entro 48 ore L’utilizzo degli anti-infiammatori (FANS) puo’ essere efficace, ma richiede una durata di trattamento >48 ore

Il mal di schiena tipico

La lombalgia è spesso il primo sintomo del paziente affetto da spondilite anchilosante. Nelle fasi più avanzate il processo infiammatorio può risalire lungo la colonna vertebrale ed interessare anche la regione dorsale e cervicale, con tendenza nelle fasi più avanzate alla anchilosi vertebrale, ossia la formazione di ponti ossei che saldano i due capi articolari. In questo caso si assiste ad una compromissione della normale curvatura della colonna vertebrale con tendenza alla gibbosità. Questa conformazione, frequentemente osservata negli anziani, deve immediatamente portare il medico al sospetto diagnostico di spondilite anchilosante qualora dovesse essere riscontrata in giovane età (vedi figura 2).

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A destra l’atteggiamento di un soggetto affetto da Spondilite Anchilosante.

La difficoltà al movimento

È chiaro che in tali condizioni il paziente può avere difficoltà nello svolgimento di molteplici attività della vita quotidiana, come guidare l’autovettura o restare seduto a lungo. Oltre alla lombalgia, il paziente affetto da spondilite anchilosante frequentemente presenta una sintomatologia simile alla sciatalgia, ossia dolore, formicolio e talvolta sensazione di bruciore a carico delle natiche e della superficie posteriore delle cosce. A differenza della classica sciatalgia in questo caso il dolore si ferma al ginocchio, senza interessare tutto l’arto inferiore, e tende ad interessare in modo alternante le due  cosce (sciatica mozza alternate). Questa sintomatologia, del tutto peculiare, riflette l’infiammazione di una particolare articolazione, con la quale il bacino si articola con la colonna vertebrale (articolazione sacro-iliaca; vedi figura 3).

La sacroileite

Figura 3

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Nella Spondilite Anchilosante si assiste ad un impegno delle articolazioni sacro-ilia- che (punti verdi); spesso anche la sinfisi pubica risulta coinvolta (punto rosso).

Anche queste articolazioni dopo anni di patologia non adeguatamente trattata, tendono a subire l’anchilosi. In questo caso non si osservano particolari alterazioni conformazionali (come nel caso della colonna vertebrale), tuttavia la perdita di tale articolazione può, per esempio, rendere difficoltoso l’espletamento di un parto naturale (in questo caso è talvolta necessario optare per il taglio cesareo).

Meno frequentemente il bacino può essere sede di un processo infiammatorio in altre sedi, quali la sinfisi pubica (anteriormente) e le creste iliache (lateralmente). In questo caso la sintomatologia dolorosa sarà localizzata, senza particolari irradiazioni.

L’infiammazione delle articolazioni periferiche

Quasi la metà dei pazienti affetti da spondilite anchilosante presenta anche un impegno delle articolazioni periferiche. In particolare possono essere coinvolte le articolazioni degli arti inferiori, come anche, ginocchia e caviglie; più raramente quelle degli arti superiori (in particolare gomiti e polsi). In questo caso le articolazioni sono dolenti, calde, tumefatte; frequentemente si assiste ad una significativa impotenza funzionale. A differenza di quanto osservato in altre patologie come l’artrite reumatoide, qui l’impegno articolare è tipicamente asimmetrico (lato destro presenta un interessamento articolare diverso da quello sinistro) e risparmia solitamente le piccole articolazioni di mani e piedi.

I piedi possono essere coinvolti con un dolore a carico del calcagno e/o della regione plantare; non si tratta di un processo articolare ma tendineo (tendine d’Achille, fascia plantare; vedi figura 4).

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Figura 4 Il piede è frequentemente interessato in corso di Spondilite Anchilosante; sia la zona plantare che il tendine d’Achille possono essere bersaglio di un processo infiammatorio cronico.

Più raramente possono essere interessati altri tendini, nella loro inserzione all’osso, come quelli del gomito (epicondilite) o del ginocchio (entesite quadricipitale, rotulea).

Sintomatologia extra-articolare

La spondilite anchilosante è dunque una patologia prevalentemente articolare e tendinea. Tuttavia in alcuni casi può interessare anche altri organi.
L’impegno oculare si osserva in circa il 25% dei pazienti affetti da spondilite anchilosante. In questo caso si assiste ad una infiammazione della porzione più anteriore dell’occhio, con dolore, arrossamento oculare e ipersensibilità alla luce (uveite anteriore). Entrambi gli occhi possono essere coinvolti ma raramente contemporaneamente. Un adeguato e tempestivo trattamento permette la guarigione senza particolari sequele.

In casi rari, il processo infiammatorio della spondilite anchilosante può danneggiare la valvola aortica cardiaca, comportando un difetto durante la fase di chiusura (insufficienza aortica). Molto raramente tale interessamento assume una rilevanza clinica. Altrettanto rari i casi di interferenza con il ritmo cardiaco.

Nelle fasi più avanzate di una patologia non adeguatamente trattata si può assistere ad una ridotta resistenza fisica anche per sforzi non eccessivi. In questo caso l’affanno potrebbe essere giustificato da un impegno delle articolazioni della gabbia toracica e dei muscoli intercostali (talvolta con dolore localizzato) o, più raramente, da una cicatrizzazione polmonare (fibrosi polmonare). Entrambe queste condizioni possono limitare l’espansione toracica.

Diagnosi e decorso

La diagnosi di spondilite anchilosante viene generalmente effettuata sulla base del quadro clinico (visita medica specialistica), degli esami di laboratorio e degli esami strumentali. Il reumatologo ha il compito di identificare, con la visita, i pazienti con elevata probabilità di essere affetti dalla patologia, e richiedere gli esami di laboratorio e strumentali utili per confermare la diagnosi. Non ha senso richiedere tali esami prima che il paziente sia stato accuratamente valutato.

Esami strumentali

Per quanto riguarda gli esami di laboratorio, questi sono utili sia per verificare la presenza di infiammazione sistemica (alcuni indici come VES e PCR possono risultare alterati), sia per escludere altre patologie (la spondilite anchilosante viene definita “sieronegativa”, in quanto i comuni esami immunologici risultano solitamente nella norma) e sia per definire l’idoneità del paziente a taluni trattamenti farmacologici.
Gli esami strumentali sono di grande ausilio sia per la diagnosi che per il monitoraggio della patologia nel corso degli anni. Storicamente si richiedeva la radiografia (Rx) del bacino e della schiena; oggi, accanto a questa insostituibile metodica, risulta molto utile, in taluni pazienti, la risonanza magnetica nucleare (RM). Questa indagine permette di effettuare la diagnosi di malattia in una fase molto precoce (“spondilite non-radiografica”), quando lo studio radiografico standard non evidenzia ancora segni caratteristici della spondilite anchilosante.

Altre metodiche, come la TAC o la scintigrafia ossea, sono riservate solo a casi eccezionali. L’ecografia viene oggi molto utilizzata per lo studio delle articolazioni e dei tendini periferici, fornendo utili informazioni strutturali e funzionali (permette di stimare l’entità dell’infiammazione). Viceversa l’ecografia è poco utile per lo studio delle articolazioni della schiena e del bacino.

Trattamento

Ad oggi non esiste una terapia per curare definitivamente la spondilite anchilosante. Tuttavia vi sono ottimi farmaci in grado di arrestare la patologia e controllarne i sintomi.
Gli obiettivi prioritari nella gestione terapeutica della malattia sono l’attenuazione del dolore e della rigidità, al fine di ripristinare e mantenere una corretta postura e un’adeguata mobilità articolare.

La terapia farmacologica è fondamentale, poiché spegnere l’infiammazione permette di ridurre il dolore e la rigidità; in tal modo il paziente può adottare posture corrette ed effettuare quotidianamente esercizi di stiramento e di rinforzo muscolare. La terapia farmacologica si avvale dell’ausilio dei FANS (anti-infiammatori non steroidei) e, sempre più, di farmaci biotecnologici, attivi contro una particolare proteina infiammatoria (TNF, IL17) o terapie avanzate da assumere per bocca (JAk inibitori). Nel caso di un interessamento delle articolazioni periferiche o tendineo è indicato l’impiego di cortisonici a basso dosaggio per via sistemica o mediante infiltrazioni e l’utilizzo di farmaci anti-reumatici tradizionali (methotrexate, sulfasalazina, leflunomide). Questi farmaci sono utilizzati anche per il trattamento dell’artrite reumatoide e psoriasica (vedi i rispettivi capitoli per una trattazione farmacologica completa).

Inoltre, altre abitudini di vita possono influenzare positivamente lo stato di salute, come una dieta equilibrata, un sonno ristoratore, una regolare attività fisica aerobica ed il supporto psicologico da parte della famiglia e degli amici.

Importanza dell’attività fisica

L’attività fisica mirata è parte integrante nella gestione di ogni programma terapeutico nella spondilite anchilosante. Se svolto quotidianamente aiuta a mantenere una postura corretta, contribuisce a migliorare l’escursione articolare e svolge un’azione antalgica.

È tuttavia importante farsi guidare, soprattutto all’inizio, dal fisiatra e fisioterapista al fine di ottenere il massimo beneficio. Si descrivono di seguito alcuni esempi esemplificativi.

Riscaldamento

Marciare velocemente sul posto per un minuto staccando il più possibile i piedi dal suolo e contemporaneamente portare in alto le braccia estese per 20 secondi, poi in avanti per altri 20 secondi ed infine di lato per ulteriori 20 secondi.

Esercizi di stretching

  1. Posizionarsi a quattro zampe. Tenere i gomiti diritti, mantenere la testa tra le spalle ed inarcare la schiena il più possibile
  2. Alzare la testa ed incurvare la schiena il più possibile.
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  1. Mantenendo la testa alzata, portare il braccio destro in avanti e la gamba sinistra indietro. Tenere per 5 secondi. Ritornare a quattro zampe e cambiare braccio e gamba.
  2. Posizionarsi di fronte ad una sedia, con il sedile morbido. Appoggiare il tallone destro sul sedile, tenendo il ginocchio diritto piegarsi il più possibile cercando di andare a toccare con entrambe le mani le dita del piede. Tenere per 6 secondi e poi riposare.
  3. Ripetere 2 volte, cercando di allungarsi sempre di più ogni volta. Rilassarsi dopo ogni allungamento e ripetere con la gamba controlaterale. L’esercizio si può eseguire anche da seduto appoggiando il tallone su uno sgabello.
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IL DOLORE CRONICO NELLE MALATTIE REUMATICHE

IL DOLORE CRONICO NELLE MALATTIE REUMATICHE: considerazioni

Il dolore cronico osseo, articolare e muscolare è il sintomo che caratterizza le malattie reumatiche, sia infiammatorie (artriti) che degenerative (artrosi) che da iperalgesia centrale (fibromialgia).

Quando il medico prende in considerazione il sintomo “dolore” deve considerare le molteplici componenti che lo determinano:

  • stimolazione delle terminazioni sensitive periferiche     
  • trasmissione dello stimolo lungo il nervo sensitivo
  • aree sensitive della corteccia cerebrale cerebrale 

Quindi il dolore riconosce una Partenza, un Trasporto e un Arrivo.

Il dolore da stimolazione dei recettori periferici si definisce NOCICETTIVO; quello da alterazioni del nervo sensitivo definito NEUROPATICO; il dolore cronico che sensibilizza attraverso meccanismi di inibizione dei sistemi di controllo a livello centrale si definisce NOCIPLASTICO.

In sintesi, af fine di rendere meglio comprensibile quanto esposto:

  • il dolore meccanico da artrosi o infiammatorio da artrite è NOCICETTIVO
  • quello da compressione di una radice nervosa per ernia discale è NEUROPATICO
  • quello cronico diffuso a tutto il corpo della fibromialgia è NOCIPLASTICO
  • talvolta sono contemporaneamente presenti più meccanismi (ad esempio nocicettivo + nociplastico, ecc). Il dolore nociplastico è una costante della cronicità.

Il dolore cronico nelle malattie reumatiche esita spesso in una sindrome bio-psico-sociale che porta ad estensione del dolore a più parti del corpo, disturbo del sonno, stanchezza generalizzata e calo del tono dell’umore.

Mentre i farmaci anti-infiammatori (FANS o cortisonici) o anti-reumatici sono efficaci sul dolore nocicettivo, lo sono solo parzialmente sul dolore neuropatico e non lo sono per nulla sul dolore nociplastico. 

La percezione del dolore, a livello cerebrale, è diversa da malato a malato e, anche la stessa persona, può percepire lo stimolo doloroso in modo diverso in momenti diversi della propria vita.
La quantità di stimolo percepita da un soggetto è mediata anche da un fine equilibrio neuro-endocrino (serotonina, noradrenalina, ecc.) che garantisce la “soglia” del dolore. Questo equilibrio può mutare in condizioni fisiologiche e patologiche.

Una cattiva qualità del sonno e del riposo notturno (specie se persistente), impedisce il fisiologico ripristino di questo equilibrio neuro-ormonale, traducendosi in riduzione della soglia di percezione del dolore.

La Fibromialgia

Non è infrequente osservare, quando l’iperalgesia tende a cronicizzare, una associazione tra dolore persistente diffuso a tutti i muscoli del corpo e un corteo di altri sintomi quali: riduzione del tono dell’umore, insonnia, stanchezza prevalente al risveglio mattutino, disturbo dell’alvo (colon irritabile), vertigini, cefalea muscolo tensiva, intolleranza a molti alimenti e farmaci. Il reumatologo definisce questa frequente condizione dolorosa cronica con il termine di fibromialgia che colpisce prevalentemente le donne. La fibromialgia non toglie un’ora di vita al malato, ma può avvelenare ogni ora della sua vita. Il malato di FM presenta una ridotta qualità di vita e spesso non viene creduto, in famiglia o dai medici, quando espone l’insieme dei propri sintomi. Non vi sono esami per la diagnosi di questa malattia e la terapia si basa su farmaci, sostegno psicologico e attività muscolare aerobica.

Tra i farmaci più impiegati vi sono quelli in grado di agire sulla ricaptazione di serotonina e noradrenalina (anti-depressivi) e sugli ansiolitici e ipno-induttori. Spesso il beneficio indotto dai farmaci tende a ridursi e a scomparire nel tempo se non viene associato un programma di esercizio muscolare da proseguirsi con motivata volontà e costanza.

Tecniche di medicina complementare come lo Shiatsu e lo yoga si sono rivelati un valido aiuto ai malati. La psicoterapia (soprattutto cognitivo-comportamentale) e il sostegno di un councellor sono efficaci nel determinare le azioni di contrasto mentale al dolore (strategie di coping).

Il nostro impegno

L’Associazione Bresciana Artrite Reumatoide (ABAR), ha tra gli iscritti una nutrita componente di persone portatrici di FM. Mette a disposizione dei propri soci lo psicologo, il cauncellor, il fisioterapista e l’operatore shiatsu.
Ha favorito la nascita di gruppi di auto-aiuto.
L’ABAR, unitamente alle altre associazioni di malati reumatici, ha sensibilizzato la Regione Lombardia e il Ministero della Salute per il riconoscimento della Fibromialgia tra le malattie croniche.
Viene richiesta l’esenzione dal ticket per le visite specialistiche (reumatologo, fisiatra, fisioterapista, psichiatra, psicologo), già che non sono necessari esami ematici o strumentali.

fibromialgia stretching

Esercizi di Stretching nella Fibromialgia

L’importanza di eseguire esercizi di stretching nella fibromialgia

By Dott. Vezzoli Pierre che ha fatto la tesi di laurea in fisioterapia nel nostro centro sul tema della Fibromialgia

ALLUNGAMENTO MUSCOLARE

Stretching è un termine inglese (che significa allungamento, stiramento) usato nella pratica sportiva per indicare un insieme di esercizi finalizzati al miglioramento muscolare.
Gli esercizi di stretching coinvolgono muscoli, tendini, ossa e articolazioni ed in gran parte consistono in movimenti di allungamento muscolare. Essi comportano:
Benefici:
sul sistema muscolare e tendineo

  • Aumenta la flessibilità e l’elasticità dei muscoli e dei tendini.
  • Migliora la capacità di movimento.
  • È un’ottima forma di preparazione alla contrazione muscolare.
  • In alcuni casi diminuisce la sensazione di fatica.
  • Può prevenire traumi muscolari ed articolari.

sulle articolazioni

  • Attenua le malattie degenerative.
  • Stimola la “lubrificazione” articolare.
  • Mantiene “giovani” le articolazioni, rallentando la calcificazione del tessuto connettivo.

sul sistema cardiocircolatorio e respiratorio

  • Diminuisce la pressione arteriosa.
  • Favorisce la circolazione.
  • Migliora la respirazione.
  • Aumenta la capacità polmonare.

sul sistema nervoso

  • Sviluppa la consapevolezza di sé.
  • Riduce lo stress fisico.
  • Favorisce la coordinazione dei movimenti.
  • È rilassante e calmante.

È importante ricordare che durante qualsiasi esercizio di Stretching nella Fibromialgia:

  • i movimenti devono essere eseguiti molto lentamente
  • la respirazione deve essere normale e tranquilla. Non bisogna mai trattenere il respiro durante un esercizio di allungamento
  • è necessario rilassarsi e concentrarsi
  • l’abbigliamento deve essere comodo
  • l’ambiente non rumoroso
  • il suolo non freddo

Esercizi di Stretching nella Fibromialgia per lunedì, mercoledì e venerdì

Esecuzione. Durante l’espirazione ruotare la testa verso destra lentamente. Durante l’inspiro rimanere fermi. Espirare e proseguire fino alla massima escursione articolare. Durante l’inspiro tornare lentamente alla posizione iniziale. (4 volte per lato)|FM002

Esecuzione. Durante l’espirazione flettere la testa lateralmente verso destra, in modo da avvicinare l’orecchio alla spalla. Durante l’inspiro ritornare col capo eretto. Quindi eseguire allo stesso modo dall’altro lato. (4 volte per lato)|FM004

Esecuzione. Durante l’espirazione reclinare il capo all’indietro . Inspirare e espirare lentamente e profondamente una volta. Durante l’inspiro ritornare col capo eretto. (Ripetere 4 volte)|FM006

Esecuzione. Durante l’espirazione reclinare il capo in avanti. Inspirare e espirare lentamente e profondamente una volta. Durante l’inspiro ritornare col capo eretto. (Ripetere 4 volte)|FM008

Esecuzione: accavallare gli arti inferiori; quello sovrastante determina una spinta sul controlaterale che fa ruotare il bacino e la parte inferire del tronco. (30-60 sec)|FM010

Esecuzione: flettere gli arti inferiori e abbracciarli in modo di tirare le cosce a contatto con la parte anteriore del tronco. (60 sec)|FM012

Esecuzione: partendo in posizione seduta contro la parete, abdurre leggermente le cosce e flettere tronco e capo fra di esse.  ( 60 sec)|FM014

Esercizi di Stretching nella Fibromialgia per martedì, giovedì, sabato

Esecuzione: sollevare l’ arto superiore sinistro, flettere il gomito e portare la mano in prossimità del collo. Portare l’ altra mano dietro la schiena verso le scapole. Afferrare le due mani o aiutarsi con un asciugamano. Invertire la posizione dei due arti superiori. (30 sec)|FM016

Esecuzione: mantenere il gomito esteso e con l’ aiuto del polso contro laterale avvicinare il più possibile l’ avambraccio alla spalla opposta. Invertire la posizione dei due arti superiori. (30 sec)|FM018

Esecuzione: dalla posizione quadrupedica, arretrare progressivamente il tronco accentuando la flessione di ginocchia e anche. Gli arti superiori vengono a trovarsi sul prolungamento del tronco. (30 sec)|FM020

Esecuzione: partendo dalla posizione quadrupedica, con le dita estese rivolte verso le ginocchia, arretrare il tronco flettendo le ginocchia. I gomiti devono rimanere estesi. (30 sec)|FM022

Esecuzione: partire seduti in terra con un arto inferiore flesso al ginocchio e piede sotto al sedere mentre l’ altro arto inferiore è esteso al ginocchio. Appoggiare le mani a terra posteriormente alla schiena. Per incrementare lo stretching portare le mani sempre più indietro fino ad appoggiare i gomiti. (30 sec)|FM024

Esecuzione: poggiare l’avampiede sul bordo del gradino mentre l’ altro piede sul gradino successivo. Spostare gradualmente il peso corporeo sul piede più basso mantenendo il ginocchio esteso. (30 sec)|FM026

Esecuzione:seduti sul bordo del lettino con un arto inferiore appoggiato e esteso al ginocchio mentre l’ altro poggia a terra. Aumentare l’ allungamento anteponendo il bacino. Le mani vanno appoggiate alla gamba. ( 30 sec)|FM028

Esecuzione: appoggiare gli arti inferiori contro la parete a ginocchia estese. Lasciare che la forza di gravità porti in progressiva abduzione d’anca. (30 sec)|FM030

Gli Esercizi di Stretching nella Fibromialgia hanno migliorato il dolore e la performance muscolare. https://abarbrescia.org

P. Vezzoli e R. Gorla, 2008

Lupus Clinic

La Lupus Clinic é dedicata ai malati di LUPUS (LES)  

Il Lupus Eritematoso Sistemico (LES) è un disordine del sistema immunitario indicato come patologia autoimmune. Nelle malattie autoimmuni, il sistema immunitario danneggia le proprie cellule ed i propri tessuti sani. Il LES può colpire numerosi organi e apparati, quali: articolazioni, pelle, reni, cuore, polmoni, vasi sanguigni e cervello.

Sebbene le persone affette da tale patologia possano manifestare svariati sintomi, alcuni dei più comuni includono: facile affaticabilità, dolore e gonfiore articolare, febbre senza spiegazione, eritema a livello della pelle e disfunzione dei reni.

Al momento attuale non ci sono cure per eradicare il LES, dato che è sconosciuta la causa che lo provoca. Comunque, il Lupus può essere curato con successo con farmaci appropriati e la maggior parte delle persone con questa malattia può essere attiva e vivere normalmente. Il Lupus è caratterizzato dall’alternarsi di periodi di acuzie della malattia e di periodi di benessere o remissione.

La comprensione di come prevenire gli episodi di acuzie e di come trattarli quando accadono aiuta le persone con Lupus a prevenire deterioramento irreversibile degli organi colpiti.

I ricercatori stanno studiando le cause del lupus ed il perchè la malattia si sviluppa. Sappiamo che questa malattia colpisce più le femmine dei maschi. Inoltre il Lupus può manifestarsi in più membri della stessa famiglia, ma il rischio che un bambino o un fratello o una sorella di un paziente abbia il lupus è basso. Non è una malattia ereditaria in senso stretto. E’ difficile stimare quante persone soffrano di questa malattia in quanto i sintomi sono diversi e l’ esordio è spesso difficile da individuare.

Sebbene il Lupus sia usato come un termine ampio, attualmente si distinguono tre tipi di Lupus:

  1. il Lupus Eritematoso Sistemico (LES) è la forma della malattia a cui la maggior parte delle persone si riferisce quando si parla di Lupus. La parola sistemica significa che la patologia può colpire numerose parti dell’organismo, manifestandosi con sintomi lievi o severi. Sebbene usualmente il LES colpisca persone con una età compresa tra i 15 ed i 45 anni, può talvolta esordire nell’infanzia o nell’età avanzata.
  2. Il Lupus Discoide (LED) fa riferimento ad una malattia della pelle, a livello della quale compare un eritema, rilevato, localizzato spesso al volto, allo scollo o altrove. Le aree rilevate possono esitare in cicatrici. Di regola i malati di LED non presentano evoluzione verso un LES.
  3. Il Lupus indotto dai Farmaci rappresenta una forma di lupus causato da uno specifico farmaco. I sintomi sono simili a quelli del lupus eritematoso sistemico (artrite, eritema, febbre, e dolore toracico) che tipicamente si risolvono alla sospensione del farmaco stesso.

Il Lupus Neonatale è una rara forma di Lupus che può colpire i nati da donne con LES o con altre malattie autoimmuni sistemiche. Alla nascita, il neonato può presentare un eritema cutaneo, anormalità del fegato o alterazioni del sangue, che persistono per alcuni mesi. Inoltre il neonato può avere un grave difetto del cuore, che oggi i medici sono in grado di identificare precocemente e curare prima della nascita. Il Lupus Neonatale è comunque molto raro e la maggior parte dei nati da donne con LES è sano.

scarica questo interessante scritto lupus pz

Vi forniamo le informazioni per accedere alla attività ambulatoriale della LUPUS CLINIC che si avvale di equipe multispecialistica presso la U.O. di Reumatologia e Immunologia Clinica, Spedali Civili, Cattedra di Reumatologia,Università degli Studi di Brescia

Gruppo LES

  1. ORARI SPORTELLO/AMBULATORIO
    • Lunedì 14,30-17-30
    • Martedì 8,30-13,00 + ambulatorio 14,30-17,00
    • Mercoledì 14,00-17,30 + ambulatorio
    • Giovedì 8,30-13,00
  1. ORARI TELEFONO
    • Lunedì 14,30-16,30
    • Martedì 11,00-12,00
    • Mercoled 14,30-16,30
    • Giovedì 11,00-12,00

Immagini della inaugurazione della LUPUS CLINIC sostenuta dal GRUPPO LES e dalla ABAR

Ricordando con tenerezza infinita Emanuela Parmegiani

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Lupus Eritematoso Sistemico

Il Lupus Eritematoso Sistemico (LES) è una malattia autoimmune, in cui il sistema immunitario viene attivato in modo incontrollato e determina un’infiammazione dei tessuti sani.
Il LES può interessare quindi numerosi organi e apparati, determinando sintomi differenti da paziente a paziente.
In quasi tutti i casi però la malattia è caratterizzata dall’alternarsi di periodi di acuzie e di periodi di benessere o remissione.

Il Lupus Eritematoso Sistemico si manifesta più frequentemente nelle femmine dei maschi. Sebbene usualmente il LES colpisca persone con una età compresa tra i 15 ed i 45 anni, può talvolta esordire nell’infanzia o nell’età avanzata.
Non è una malattia ereditaria in senso stretto; raramente può manifestarsi in più membri della stessa famiglia.

Molti tipi di Lupus

La definizione di “Lupus” viene usato come termine ampio. Per evitare confusione va segnalato che si distinguono tre tipi di Lupus:

  1. il Lupus Eritematoso Sistemico (LES) è la forma della malattia che può coinvolgere diverse parti dell’organismo, manifestandosi con sintomi lievi o severi.
  2. Il Lupus Discoide (LED) è invece una malattia esclusivamente della pelle, a livello della quale compare una lesione arrossata, rilevata, localizzata spesso al volto, allo scollo, indotta dall’esposizione ai raggi solari. Le aree rilevate possono esitare in cicatrici. I pazienti affetti da LED molto raramente possono evolvere verso la forma sistemica di malattia (LES).
  3. Il Lupus da Farmaci rappresenta invece una forma di lupus causato dall’assunzione di uno specifico farmaco. I sintomi sono simili a quelli del lupus eritematoso sistemico (artrite, eritema, febbre, e dolore toracico) che tipicamente si risolvono alla sospensione del farmaco stesso.

Il Lupus Neonatale è una rara forma di Lupus che può manifestarsi nei nati da donne con diverse malattie autoimmuni sistemiche associate ad anticorpi particolari chiamati anti-Ro o anti-La. E’ storicamente detto “lupus”, perché alla nascita, il neonato può presentare un eritema cutaneo del tutto simile a quello osservato nella donne affette da LES. Tuttavia trattasi di una manifestazione rara che tende a scomparire in poco tempo.

Le cause del Lupus

Il Lupus Eritematoso Sistemico è una malattia complessa di cui non si conoscono le cause.
E’ probabile che non ci sia un’unica causa, bensì una combinazione di fattori genetici, ambientali ed ormonali, che entrano in gioco insieme nel determinare la malattia.
E’ noto che esiste un predisposizione genetica a sviluppare la malattia, ma devono entrare in gioco altri fattori, tra cui il sole, lo stress, alcuni farmaci e agenti infettivi  che possono indurre un’attivazione incontrollata del sistema immunitario e fare emergere la malattia.
Nel Lupus il sistema immunitario lavora “troppo”: non solo produce anticorpi che hanno la funzione di sconfiggere gli agenti infettivi, ma produce degli anticorpi in eccesso, che sono diretti contro la cellule e i tessuti sani dell’organismo. Tali anticorpi, chiamati autoanticorpi, contribuiscono a determinare l’infiammazione e il danno di diversi organi.

I sintomi del Lupus

Frequentemente l’esordio del Lupus Eritematoso Sistemico si caratterizza per una profonda stanchezza, febbricola, manifestazioni cutanee e dolori articolari.

Cute: le manifestazioni cutanee sono generalmente indotte dall’esposizione solare e sono caratterizzate da bruciore e arrossamento a livello del naso e delle guance (per questo motivo definito eritema “a farfalla”), orecchie, collo, cuoio capelluto, braccia, spalle, scollo e mani. Talvolta i pazienti riferiscono una facile perdita di capelli, frequenti vescicole al cavo orale e la comparsa di “geloni” alle mani.

Apparato articolare: i dolori articolari nel LES possono essere lievi e migranti oppure localizzati solo ad alcune articolazioni (mani e piedi) ed essere intensi, associati a gonfiore e a difficoltà nel movimento. Tale sintomatologia, definita “artrite” può limitare molto la qualità di vita anche perché determina una difficoltà ad iniziare il movimento all’inizio della giornata.

Altri organi possono essere interessati in caso di LES.

Reni: l’infiammazione del rene (nefrite) può compromettere la sua capacità di essere un “filtro”, cioè di eliminare i prodotti di scarto dell’organismo. Dato che il rene rappresenta un organo essenziale per la vita, l’interessamento del rene richiede solitamente un trattamento intensivo per prevenire il danno permanente. Il coinvolgimento del rene non determina dolore o febbre, ma può manifestarsi con la comparsa improvvisa di aumento dei valori di pressione o di gonfiore ad entrambe le caviglie (edema). Più frequentemente l’unico segno della malattia del rene è dato da un’anormalità dell’esame delle urine o dal rialzo di creatinina.

Polmoni: nel Lupus si può sviluppare una pleurite (infiammazione del rivestimento del polmone), che causa dolore toracico intenso, esacerbato dai movimenti di respirazione. Piu’ raramente si osserva invece una vera e propria infiammazione del polmone.

Cuore: l’infiammazione può interessare il cuore stesso o il suo rivestimento (pericardite), causando dolore al torace, alterazioni del ritmo cardiaco o difficoltà respiratorie.

Numerosi recenti studi hanno dimostrato che i pazienti affetti da LES presentano un maggior rischio di aterosclerosi e di complicanze ad essa associate, quali l’infarto miocardico, ictus o disturbi della circolazione periferica. Quindi è fondamentale che i soggetti affetti da LES controllino i livelli di colesterolo, la pressione arteriosa e il peso corporeo.

il cervello: il Lupus può essere causa di intenso mal di testa, disturbi della memoria, problemi della visione, attacchi ischemici, cambiamenti nel comportamento, come depressione e attacchi di ansia.

il sangue: nel Lupus si possono osservare frequentemente un’alterazione di esami del sangue, inclusa una grave anemia di rapida insorgenza (“anemia emolitica”), una riduzione dei globuli bianchi (leucopenia) o delle piastrine (piastrinopenia).

In alcuni casi invece vengono prodotti autoanticorpi che determinano un aumento della viscosità del sangue e quindi un maggior rischio di sviluppare trombosi vascolari.

La diagnosi di Lupus (LES)

La diagnosi di Lupus può essere difficile. Una corretta diagnosi richiede esperienza da parte del medico ed una buona comunicazione tra medico e paziente. La raccolta accurata della storia del paziente, la visita e gli esami di laboratorio aiutano il medico nella diagnosi e soprattutto nell’esclusione di condizioni che possono mimare l’esordio di un Lupus.
Non esiste un singolo test che ne permetta la diagnosi di certezza. Il lavoro del medico specialista è proprio quello di combinare l’insieme dei dati clinici e di dati di laboratorio, correttamente eseguiti, al fine di consentire una rapida e corretta diagnosi.
Gli esami più utili ai fini della diagnosi sono rappresentati dalla determinazione di alcuni autoanticorpi presenti nel sangue: i più importanti sono gli anticorpi antinucleo (positivi quasi nel 100% dei pazienti con LES), anticorpi anti-DNA e anti-ENA (tra cui anti-Sm, anti-Ro e anti-La). Gli anticorpi anti-fosfolipidi vanno sempre cercati perché rappresentano un fattore di rischio per trombosi vascolare e per aborto ricorrente.
Dato che la sintomatologia del LES renale è molto vaga, in alcuni casi è necessario eseguire una biopsia del rene per inquadrare in maniera piu’ precisa il grado di coinvolgimento renale, e mirare al meglio la terapia.

Gli stessi esami di laboratorio, utilizzati per porre diagnosi di LES, sono utili per il monitoraggio della patologia: una conta completa dei globuli bianchi, rossi e piastrine, l’esame delle urine, la VES, il dosaggio delle proteine del complemento possono fornire informazioni utili. I pazienti affetti dal Lupus spesso hanno una VES alta ed un consumo del complemento, specialmente nella fase di attività della malattia.

La terapia del Lupus

I farmaci che sono utilizzati nel Lupus permettono di controllare la malattia e al paziente di svolgere una vita “normale”, a patto di assumere regolarmente le medicine.
E’ importante che il paziente collabori con il medico e svolga un ruolo attivo nella comprensione e accettazione del trattamento. Una volta che il Lupus è stato diagnosticato, il medico imposta una terapia in base all’età del paziente, il sesso, lo stato di salute, i sintomi e lo stile di vita (inclusa l’attività lavorativa). La decisione terapeutica è mirata alla cura della malattia, prevenzione di eventuali riattivazioni ed evitare o minimizzare il danno d’organo e le sue complicazioni.
Nel trattamento del Lupus vengono usati numerosi farmaci in combinazione tra loro, somministrati in base ai sintomi accusati dal paziente.
Generalmente vengono utilizzati anti infiammatori non steroidei (FANS), quando un paziente presenta una pleurite o pericardite, dolori articolari o febbre. Ovviamente si associano all’assunzione di farmaci “gastroprotettori”, per evitare il bruciore di stomaco o ulcera gastrica, causati dai FANS.
Quasi tutti i pazienti con LES devono assumere del cortisone: a dosaggio basso per controllare manifestazioni cutanee o articolari, a dosaggio più elevato quando siano presenti interessamento renale, polmonare o cerebrale. Gli effetti collaterali a breve termine del cortisone includono aumento dell’appetito, incremento del peso e modificazioni dell’umore. Tali effetti solitamente regrediscono alla riduzione della dose assunta o alla sospensione della stessa. Gli effetti a lungo termine comprendono assottigliamento della pelle, indebolimento o danno dell’osso (osteoporosi o osteonecrosi), innalzamento della pressione  arteriosa, incremento degli zuccheri nel sangue e cataratta.  Tali effetti collaterali sono legati alla dose quotidiana e alla durata del trattamento.  I pazienti con LES in trattamento con corticosteroidi devono assumere un supplemento di calcio, vitamina D e altri farmaci (bisfosfonati)per ridurre il rischio di osteoporosi.

Spesso oltre al cortisone, si associano farmaci antimalarici (es: idrossiclorochina), nati per controllare la malaria, ma noti per essere molto efficaci nel LES. In particolare sono molto efficaci nel controllare le manifestazioni cutanee o articolari di malattia e sembrano svolgere una ruolo nella modulazione e regolazione della produzione di autoaniticorpi, ridurre il colesterolo e ridurre la viscosità del sangue, caratteristiche comuni alla maggior parte dei pazienti con LES.  Studi clinici hanno dimostrato come il trattamento continuo con antimalarici possa prevenire le riacutizzazioni della malattia. Come effetti collaterali sono stati segnalati, in rari casi, un accumulo di farmaco nella retina dell’occhio, per cui è consigliato monitoraggio nel tempo della campimetria.

Quando il LES presenta manifestazioni più severe, il paziente necessita di farmaci “immunosoppressori”, capaci cioè di ridurre l’attività del sistema immunitario, principale responsabile della malattia. Tali farmaci possono essere somministrati (sempre in associazione al cortisone) per bocca o in infusione endovenosa, per controllare le manifestazioni renali, neurologiche, articolari o polmonari di malattia. Lo sforzo dello specialista è comunque mirato a “confezionare” una terapia il piu’ adatta possibile al singolo paziente tenendo conto dell’attività della malattia, ma anche della sua età e del suo stile di vita.

Lupus e qualità di vita

Nonostante i sintomi del Lupus e i potenziali effetti collaterali del trattamento, le persone affette da Lupus possono mantenere una buona qualità di vita. Il medico deve educare il paziente a riconoscere i segni di una riattivazione di malattia. Molte persone con il Lupus presentano febbricola, un aumento della stanchezza o dei dolori o la comparsa di eritema cutaneo prima di una riacutizzazione. Lo sviluppo di strategie per prevenire le recidive, così come l’educazione a riconoscere i segnali di allarme ed il mantenimento di una buona comunicazione con il medico, possono essere di aiuto. Infatti, per i pazienti con Lupus è più importante ricevere regolari cure, che essere aiutato solamente quando peggiorano i sintomi.

Gravidanza nelle donne con Lupus

Sebbene la gravidanza in una donna con Lupus sia considerata ad alto rischio, la maggior parte delle donne con questa malattia portano a termine la loro gravidanza e partoriscono un bambino sano. La programmazione della gravidanza è fondamentale: idealmente una donna non dovrebbe avere segni e sintomi di Lupus al momento del concepimento o comunque presentare una malattia in ottimo controllo, utilizzando farmaci non dannosi per lo sviluppo dell’embrione e del feto.
Alcune donne durante la gravidanza possono sviluppare una riacutizzazione mite o moderata di malattia. Le donne gravide, specialmente quelle in terapia con corticosteroidi, hanno una maggiore probabilità di sviluppare un aumento della pressione arteriosa, diabete, iperglicemia, complicazioni renali, per cui una cura regolare ed una nutrizione buona durante la gravidanza risultano fondamentali.
E’ quindi raccomandabile avere un accesso a Centri con documentata esperienza per il monitoraggio della gravidanza e ad una Unità di Terapia Intensiva Neonatale al momento della nascita nel caso in cui il neonato abbia bisogno di cure speciali. Circa il 25% dei bambini nati da donne con Lupus nascono prematuri, ma non sviluppano complicanze neonatali.

Dr.ssa Ilaria Cavazzana
Reumatologia e Immunologia Clinica
Spedali Civili di Brescia

La gotta

La gotta è una sindrome clinica caratterizzata da infiammazione acuta ricorrente o cronica delle articolazioni periferiche. È causata dalla deposizione all’interno delle articolazioni e nei tessuti periarticolari di urato monosodico in forma cristallina.

Epidemiologia

La gotta è una forma frequente di artrite e gli uomini ne sono colpiti più delle donne.  La prevalenza aumenta con l’età e si stima sia circa 1% della popolazione.
L’iperuricemia (> 7 mg/dL ) è il maggiore fattore di rischio per la gotta e può essere impiegato anche come marker diagnostico. Durante gli attacchi acuti l’uricemia può essere normale.
Tra le cause di iperuricemia si possono annoverare: una aumentata introduzione di purine, un eccesso di produzione o una ridotta eliminazione dall’organismo di acido urico (tabella seguente).

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Sintomi e decorso

L’esordio della gotta è acuto e, al primo episodio di artrite, ne conseguono altri che nel tempo si fanno più ravvicinati. Senza opportune misure di prevenzione e terapia può instaurarsi la cronicizzazione della malattia.
L’attacco acuto di gotta avviene spesso di notte, dopo un pasto abbondante e ricco di purine e alcolici. Durante il sonno si verificano infatti le condizioni ideali alla precipitazione sotto forma cristallina dell’acido urico: raffreddamento delle estremità e acidosi respiratoria.
Il dolore, tumefazione, rossore colpiscono in genere singole articolazioni.
L’articolazione più colpita e l’alluce (podagra), ma anche la caviglia, il ginocchio e il polso sono sedi comuni di gotta. I primi rari attacchi durano solo diversi giorni, ma quelli successivi, se non trattati, possono colpire diverse articolazioni simultaneamente e durare settimane.
I sintomi e i segni locali infine regrediscono e la funzione articolare torna normale.
Gli intervalli asintomatici tra gli attacchi acuti di artrite gottosa variano notevolmente, ma tendono a essere più brevi col progredire della malattia.

La diagnosi di gotta

La diagnosi precoce Perché si possa attuare una appropriata terapia e prevenzione dell’evoluzione della malattia la diagnosi deve essere precoce . La gotta si diagnostica con:

  • la determinazione dell’uricemia elevata (non in fase acuta) e degli indici di flogosi (PCR)
  • l’esame del liquido sinoviale infiammatorio (con l’evidenza dei tipici cristalli aghiformi birifrangenti in microscopia a luce polarizzata)

L’uricemia elevata espone al rischio di formazione di calcoli di acido urico calcificati nei reni e nelle vie urinarie. Per tale motivo l’uricemia va corretta stabilmente con farmaci e il paziente deve essere indotto ad adottare norme comportamentali precise.

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Norme comportamentali

Si ritiene necessaria l’educazione del malato di gotta all’adozione di un salutare stile di vita, sia per la prevenzione degli attacchi acuti, sia per la prevenzione dell’evoluzione cronica.
Sebbene l’uricemia non dipenda esclusivamente dall’apporto alimentare di purine, una dieta opportuna, ipocalorica e a basso contenuto in cibi rischiosi è auspicabile.

Bisogna prevenire e correggere l’obesità.
E’ buona norma bere molta acqua.
E’ consigliabile eseguire esercizio muscolare aerobico quotidiano.

Nella tabella sono riportati esempi di alimenti sconsigliati e quelli di libero impiego.Gli alcolici dovrebbero essere evitati o consumati in quantità assai limitate.

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La terapia farmacologica

La terapia farmacologica dell’attacco acuto di gotta è da considerarsi una emergenza perché la sofferenza del paziente è notevole.

  • Sospendere Allopurinolo o Febuxostat durante l’attacco acuto
  • Eliminare e sostituire i diuretici (magari in terapia per ipertensione arteriosa)
  • Raccomandare al paziente di bere molta acqua e di assumere 1/2 cucchiaino di bicarbonato la sera prima di coricarsi
  • Farmaci Anti-Infiammatori Non Steroidei (es Indometacina fino a 150 mg/die) con opportuna protezione gastrica e Colchicina da 1 cp/die.
    NB Ricordare al paziente che la Colchicina può determinare una diarrea non grave e che può ridursi riducendo la posologia del farmaco.
  • Attenzione alla funzione renale! Nei malati di gotta vi può essere deterioramento del filtrato renale. Se vi è una insufficienza renale cronica serve la consulenza del nefrologo.

Solo dopo la risoluzione dell’evento acuto, proseguendo la colchicina, si potrà iniziare o riprendere Allopurinolo o Febuxostat, partendo da posologie minime ed incrementando lentamente.
La terapia farmacologica per la prevenzione della cronicizzazione deve tendere al mantenimento dell’uricemia a concentrazioni inferiori a 6 mg/dL. Ciò rende necessaria una elevata aderenza del paziente alla terapia che non deve essere mai sospesa.
Allopurinolo o Febuxostat, alla posologia consigliata dal medico, verranno assunti “sine die”.

Conclusioni

La terapia attuale permette alla maggior parte dei pazienti con la gotta di vivere una vita normale. Ciò se la diagnosi viene posta precocemente e se il paziente segue le prescrizioni del medico.

Dr. Roberto Gorla

Artrite Psoriasica

L’Artrite Psoriasica (AP) è una malattia reumatica infiammatoria cronica associata alla psoriasi.

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Viene classificata con le spondiloartriti sieronegative (assenza del fattore reumatoide) e presenta una vasta eterogeneità del tipo di presentazione, del decorso e delle articolazioni colpite.

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In un elevato numero di casi il coinvolgimento erosivo poliarticolare, al pari di quanto osservato nell’AR, è responsabile di disabilità e riduzione della qualità di vita. A differenza della Spondilite Anchilosante e delle forme reattive para-infettive non vi è una stretta associazione con l’antigene HLAB27.
L’AP si manifesta in circa il 5 – 30 % dei malati di psoriasi e, nella popolazione generale, la sua prevalenza è sottostimata, soprattutto perché AP può essere diagnosticata in soggetti con familiarità di primo grado con portatori di psoriasi.
Il picco di incidenza è tra i 20 e i 40 anni senza distinzione tra i sessi.

Quadro clinico

L’insorgenza della psoriasi precede quella dell’artrite In oltre il 75% dei casi .
Il rischio di sviluppare artrite, in un paziente con psoriasi, è maggiore se ne ha familiarità, se la psoriasi è estesa, se è localizzata anche alle unghie e se è presente l’antigene HLA B27 o B7.
Vengono distinti diversi tipi di AP in base al tipo e alla localizzazione del coinvolgimento infiammatorio articolare .
La variante più frequente è quella simil-reumatoide, a differenza di quanto ritenuto in passato. In questa variante si osserva una poliartrite simmetrica che coinvolge le piccole articolazioni delle mani e dei piedi.
A differenza della reumatoide sono frequentemente colpite le articolazioni interfalangee distali delle mani. In queste sedi si possono osservare erosioni e deformazioni che sono clinicamente e radiologicamente difficilmente distinguibili dalla variante erosiva dell’osteoartrosi.

Le varianti della malattia

La dattilite, con tumefazione in toto e rossore di un dito, per il coinvolgimento infiammatorio delle strutture periarticolari ed edema linfatico, è una manifestazione caratteristica della AP. Anche le grandi articolazioni sono spesso coinvolte in modo asimmetrico dal processo infiammatorio.

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Nella variante spondilitica si verifica il coinvolgimento infiammatorio del rachide e delle articolazioni sacroiliache. Il dolore è notturno, migliora con il movimento ed è mitigato dai FANS.
La ridotta componente dolorosa dell’AP, rappresenta un elemento di sottovalutazione del quadro clinico e ritardo diagnostico. Si possono osservare forme con mutilazioni articolari e deformità di grado evoluto (dita a cannocchiale) decorse in modo poco sintomatico.
Frequente è la monoartrite di ginocchio, responsabile di un elevato numero di manovre chirurgiche ortopediche sia diagnostiche (biopsia sinoviale) sia terapeutiche (sinoviectomia).

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Nei soggetti con AP sono frequenti le entesiti, multiple o isolate. Il coinvolgimento del tendine di Achille, la fascite plantare, la flogosi delle inserzioni muscolo-tendinee pelviche sono frequenti.
In alcuni soggetti con AP può esservi coinvolgimento oculare (congiuntivite, iridociclite), come in altre spondilo-artriti.
L’esordio dell’AP è generalmente subdolo e il decorso variabile tra forme persistenti e forme con artrite episodica.

Diagnosi

La presenza di psoriasi, anche minima (localizzazione al cuoio capelluto o pitting ungueale) o familiarità per tale malattia va ricercate in ogni soggetto, soprattutto giovane, che presenti artralgia, artrite, rachialgia, entesite o tendinite.
Non vi è correlazione tra il tipo di psoriasi e il tipo e grado di coinvolgimento articolare.
Quando è evidente artrite delle interfalangee distali, è presente psoriasi ungueale nella maggior parte dei casi. La dattilite singola può generare confusione diagnostica differenziale con infezioni della falange distale o con l’artrite gottosa. La diagnosi differenziale con la gotta è talvolta difficile perché l’uricemia può dimostrarsi moderatamente incrementata nei malati di psoriasi. In questo caso la necessità di dimostrare l’assenza dei cristalli di acido urico nel liquido sinoviale può rappresentare una importante indicazione all’artrocentesi diagnostica.
L’aspetto delle mani del soggetto con AP che coinvolge le IFD induce difficoltà diagnostico-differenziale con l’osteoartrosi erosiva delle mani. Sono evidenti noduli e deviazioni della falange ungueale che clinicamente sono sovrapponibili ai quadri artrosici.

Esami radiologici

Caratteristica dell’entesite achillea è la formazione di speroni calcaneali, radiologicamente osservabili, e, talvolta, la calcificazione si estende lungo la fascia plantare. La radiolgia convenzionale delle grandi articolazioni non è utile nelle fasi iniziali del processo infiammatorio. La dimostrazione ecografica o in risonanza magnetica di versamento articolare, sinovite e entesite possono essere di maggiore ausilio diagnostico e fare escludere altre patologie dell’articolazione (ligamentose, meniscali, ecc).
Nel caso di coinvolgimento della colonna vertebrale la radiologia può fare evidenziare caratteristiche distintive rispetto alla Spondilite Idiopatica. Nella AP la formazione di sindesmofiti è caratteristicamente asimmetrica, così come può esserlo la sacroileite, a differenza della SpA. Il fattore reumatoide è assente nella AP.
Gli indici laboratoristici di infiammazione (VES e PCR) sono incrementati, ma possono essere assenti in taluni casi, specie nella variante con coinvolgimento entesitico o assiale limitato.

TERAPIA

La terapia anti-reumatica delle varianti persistenti e aggressive di artrite psoriasica viene protratta, come nell’AR, a lungo termine, per rallentare il decorso del danno anatomico articolare e la conseguente disabilità.
La diagnosi e il trattamento precoci sono indispensabili per modificare il decorso della AP aggressiva. L’atteggiamento terapeutico dell’AP non differisce da quello adottato nella artrite reumatoide. L’approccio terapeutico si attua con methotrexate e, più raramente, con salazopyrin o con leflunomide.

La terapia più efficace

I farmaci biologici sono la terapia più innovativa ed efficace per la psoriasi grave e per l’artrite psoriasica. In particolare vengono impiegati i farmaci biotecnologici anti-TNF e anti IL 17, dispensati e gestiti in ambienti specialistici di riferimento. I farmaci biologici più utilizzati sono: Infliximab, Etanercept , Adalimumab, Golimumab (anche biosimilari), Secukinumab e Ixekinumab. Questi sono oggi il trattamento più efficace per tutti i casi di artrite psoriasica e per la psoriasi grave.